Medio Oriente: la ricerca di una via d’uscita

È passato poco più di un mese dallo scoppio della guerra tra Israele e Hamas, avvenuto il 7 Ottobre 2023. Dopo venti giorni e intensi bombardamenti Israele ha dato il via all’operazione di terra, per estirpare le cellule terroristiche operanti nella striscia. Mentre la guerra infuria tra le strade di Gaza e le vittime civili crescono spaventosamente, la comunità internazionale si è attivata per cercare una via di uscita dal conflitto. Tra gli obiettivi di breve termine sembra esserci la necessità di un cessate il fuoco, per permettere l’evacuazione dei civili dalle zone di combattimento e dagli ospedali, attualmente al collasso. Le pressioni più recenti arrivano da Francia e Stati Uniti, preoccupati dall’alto numero di morti provocate dagli scontri. Netanyahu ha rifiutato il cessate il fuoco, in seguito al blocco delle trattative sugli ostaggi da parte di Hamas, ma l’IDF continuerà con le pause umanitarie di quattro ore per consentire lo spostamento dei civili

 

Tensioni tra Israele e Usa

In queste settimane il segretario di stato Blinken è impegnato in varie missioni diplomatiche per cercare di mediare tra Israele e gli altri Paesi del Medio Oriente. Gli Stati Uniti sono coscienti delle forti pressioni esercitate su Israele da parte dei loro alleati arabi, e temono di mettere a rischio la loro influenza nella regione inimicandosi l’opinione pubblica e i leader musulmani. Per questo sin dallo scoppio del conflitto i vertici statunitensi, tra cui il presidente Biden, hanno più volte incontrato il primo ministro Netanyahu a Tel Aviv nel tentativo di frenare le tentazioni bellicose dell’esercito ed evitare che la controffensiva si trasformi in una vera e propria catastrofe. Nonostante le pressioni americane, il governo israeliano ha finora mantenuto una forte autonomia decisionale. Il clima di tensione è comprensibile: il governo americano non vuole passare per co-responsabile della tragedia di Gaza, opinione diffusa tra i molti manifestanti che in questi giorni stanno affollando le piazze di tutto il mondo. 

 

Quale futuro per Gaza?

Mentre i carri israeliani continuano ad avanzare, a Gaza c’è già chi avanza ipotesi sul futuro della striscia. La comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, auspicano al controllo di Gaza da parte di un’autorità ad hoc, per consentire la transizione all’eventuale controllo dell’ANP. Il governo israeliano rimane piuttosto ambiguo sul tema, affermando di non voler riprendere il controllo della striscia ma di voler estirpare definitivamente il terrorismo. Tuttavia, sembra che la situazione vada verso una vera e propria occupazione, il che ricorda - con le dovute precisazioni - le vicende dell’Iraq. 
 
 
A cura di
Lorenzo Rossi

Verso USA 2024: cosa aspettarsi?

Tra poco meno di un anno, il 5 Novembre 2024, i cittadini degli Stati Uniti saranno chiamati a scegliere il prossimo inquilino della Casa Bianca. La corsa elettorale è resa ancora più critica dal contesto politico interno sempre più lacerato e polarizzato, dall’instabilità del panorama internazionale e dal coinvolgimento indiretto degli Stati Uniti nei conflitti in Europa e in Medio Oriente. Con molta probabilità i due sfidanti saranno il presidente uscente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump. Il Tycoon è determinato a riportare i repubblicani alla vittoria, puntando sulla bassa popolarità di cui attualmente gode Biden. Nonostante manchino quasi dodici mesi, le principali agenzie di stampa americane hanno già iniziato a pubblicare i risultati di alcuni sondaggi. È facile intuire che le percentuali risultano spesso contraddittorie, soprattutto negli stati più importanti. Probabilmente è ancora troppo presto per vedere un sondaggio che possa quantomeno avvicinarsi a quello che sarà il risultato. 
 

Non solo Biden vs Trump

Nonostante il consolidato sistema bipartitico, favorito dal meccanismo di voto, non è assolutamente raro che ogni quattro anni si presentino candidati indipendenti dai due principali partiti. Molto spesso si tratta di membri degli stessi partiti, che però non sono risultati vincitori delle primarie. Nessun candidato indipendente ha mai vinto un’elezione negli ultimi cento anni, ma in molti hanno tentato l’impossibile. Finora, per il voto del 2024, hanno annunciato la loro candidatura come indipendenti Robert Kennedy e Cornell West. Gli occhi sono puntati soprattutto sul primo. Quanto la candidatura di Kennedy può condizionare il risultato finale? Difficile dirlo. Certamente il nipote dell’ex presidente può accattivarsi non poche simpatie tra l’elettorato più radicale del Partito Repubblicano, tendenzialmente isolazionista in politica estera e restio verso l’aiuto finanziario e militare all’Ucraina. La presenza del suo nome sulla scheda elettorale non è da considerare irrilevante, alcuni sondaggi lo danno addirittura al 22%. Non sarebbe la prima volta che il risultato delle elezioni venga messo in discussione da candidati terzi: alla tornata elettorale del 1968 Richard Nixon trionfò per un pugno di voti anche grazie alla corsa del sudista George Wallace, che tolse una quantità rilevante di voti ai Democratici. Secondo i sondaggi - e un'anche minima dose di buon senso - sarebbe Joe Biden a prevalere in un simile scenario.
 

La corsa del Tycoon è a rischio?

Sebbene si avvicini la Convention di giugno, è chiaro a tutti che con molta probabilità il candidato del partito Democratico sarà Joe Biden. Cosa succede invece nel partito Repubblicano? Attualmente Donald Trump deve fronteggiare diversi sfidanti, tra cui il governatore della Florida Ron De Santis, molto popolare negli ambienti repubblicani. Tuttavia è poco probabile che i suoi sfidanti riescano nell’impresa di sostituirlo nella corsa alla Casa Bianca, data la sua influenza nel partito. Tutto potrebbe cambiare se la giustizia decidesse di dichiararlo colpevole di fronte alle accuse che lo hanno portato in tribunale a partire dallo scorso agosto. Un fatto interessante è arrivato direttamente dal Colorado solo pochi giorni fa: un gruppo di attivisti ha invocato il Quattordicesimo Emendamento, sezione terza, per cercare di invalidare la candidatura di Trump. In particolare il testo recita che chiunque abbia preso parte ad un’insurrezione o ne abbia favorito il corso non potrà mai essere eletto o svolgere mansioni presso un pubblico ufficio. Naturalmente si fa riferimento all’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. È comunque improbabile che la Corte Suprema, a maggioranza conservatrice, accolga una simile tesi.
 
 
A cura di
Lorenzo Rossi
 
 

 

Consiglio Europeo: guerra, bilancio e immigrazione

Si è concluso sabato 27 Ottobre l’ultimo Consiglio Europeo, convocato per affrontare le questioni più urgenti delle ultime settimane. Presente anche la premier Meloni. 
 

Medio Oriente e Ucraina

Sul tavolo delle trattative innanzitutto il nodo del conflitto israelo-palestinese. Gli Stati membri hanno cercato di mantenere una posizione decisa e soprattutto unitaria, al contrario di come è accaduto nei giorni immediatamente successivi allo scoppio del conflitto. Ferma condanna verso Hamas, soluzione dei due stati, corridoi umanitari e pause per consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza, questo il contenuto della dichiarazione finale. Sanchez, Macron, Scholz e Meloni si sono detti soddisfatti del lavoro svolto. La premier ha ribadito l’importanza dell’ANP per risolvere la disputa tra israeliani e palestinesi e mettere da parte Hamas. Nonostante l’apparente unità, il voto dell’ultima risoluzione Onu ha mostrato le evidenti divergenze ancora presenti tra gli stati europei. Una folta comunità di stati ha preferito astenersi in sede di voto. Sul fronte Ucraina invece sono emerse tensioni durante la discussione per i prossimi aiuti, che ammontano a circa 50 miliardi di euro. Mentre la Commissione è determinata a continuare a sostenere Kiev, da parte di Ungheria e Slovacchia sono sorte non poche resistenze. Di conseguenza, la discussione sui finanziamenti è stata rimandata al prossimo Consiglio, che si terrà nel mese di dicembre. 

 

Immigrazione e sicurezza

Tra i temi affrontati anche quello dell’immigrazione. Dopo gli attentati di Bruxelles la priorità degli stati europei sarà inevitabilmente il tema della sicurezza. L’iniziativa è partita dalla Svezia, paese di origine dei due cittadini vittime dell’attentato nella capitale belga. Nella dichiarazione finale è emersa la volontà da parte della Commissione e dei membri di una maggiore cooperazione sui rimpatri e sul controllo delle frontiere, sfide comuni alla maggior parte dei Paesi europei. La Commissione ha espresso la volontà di rafforzare la missione “Irini” per contrastare il traffico di armi in Libia. Inoltre, sono stati stanziati 15 miliardi di euro del bilancio comune per affrontare il problema dei flussi migratori a sud. Il Governo italiano si è detto piuttosto soddisfatto degli accordi raggiunti, auspicando una maggiore collaborazione con i paesi terzi, come l’Egitto, per contrastare gli ingressi illegali nell’Unione. 

 

MES, pressioni sul governo

Nonostante non fosse presente in agenda, si è parlato anche del Meccanismo Europeo di Stabilità. Attualmente l’Italia è l’unico membro dell’eurozona che non ha ratificato l’accordo, la cui riforma risale ormai a diversi anni fa. La premier Meloni ha motivato l’assenza dell’Italia alla mancata riforma del Patto di Stabilità, fermo ormai dal 2020. Proprio quest’anno, infatti, giungerà a termine la sospensione delle regole di spesa. Il Patto di Stabilità sarà al centro del processo di riforma per cambiare i criteri di valutazione della sostenibilità del debito. Le trattative avranno luogo il prossimo 9 novembre, sotto la presidenza spagnola del Consiglio. 

 

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Lorenzo Rossi

Gli aiuti occidentali all'Ucraina sono a rischio?

Gli eventi dell’ultima settimana hanno destato particolare preoccupazione circa la compattezza dei paesi occidentali sul fronte della guerra. Nulla di nuovo in fondo, dall’inizio del conflitto una consistente fetta dell’opinione pubblica e della classe politica occidentale ha manifestato dubbi nei confronti dell’invio di aiuti all’Ucraina. Allora perché proprio adesso si parla di rischio per il supporto a Zelensky?

 

L’UE ribadisce il sostegno a Kiev

Due appuntamenti importanti hanno interessato il Vecchio Continente negli ultimi giorni. L’incontro dei Ministri degli Esteri dei paesi UE a Kiev e il summit della Comunità Politica Europea a Granada. In entrambi gli incontri le parti hanno ribadito fermamente il sostegno all’Ucraina. Tuttavia l’unità del fronte potrebbe essere messa in dubbio dalle prossime elezioni al parlamento europeo. Inoltre, l’Unione rischia una frattura interna dopo la vittoria in Slovacchia del populista filo-russo Robert Fico, il quale potrebbe ottenere l’appoggio di Orban per sabotare l’invio degli aiuti. Attualmente i finanziamenti più consistenti arrivano proprio dall’Europa, ben 132 miliardi di euro stanziati dall’inizio della guerra, contributo superiore anche a quello statunitense. 

 

Gli USA rischiano lo shutdown 

Questa volta Washington ha sfiorato lo shutdown, cioè lo stop di buona parte delle attività del governo federale. Durante l’ultima sessione il Congresso non è riuscito a raggiungere un accordo per rilasciare nuovi aiuti all’Ucraina. Nei finanziamenti autorizzati, infatti, non è presente alcuna voce che faccia riferimento a Kiev. Joe Biden si è detto preoccupato della presenza di frange estremiste del partito repubblicano che, secondo il Presidente, intendono approfittare dello scetticismo di una parte degli americani nei confronti della guerra per scopi elettorali. Gli Stati Uniti rimangono comunque risolutamente al fianco di Kiev. Nonostante il Congresso non sia giunto ad un accordo, rimangono ancora cinque miliardi di dollari di aiuti stanziati nei mesi scorsi. Occorrerà attendere Novembre per il prossimo dibattito sui finanziamenti. Inoltre, per garantire la continuità dei rifornimenti gli Stati Uniti invieranno un intero stock di armi sequestrate ai trafficanti iraniani nel golfo Persico, destinate ai miliziani sciiti dello Yemen.

 

 
L’Italia pianifica altri aiuti

Attualmente il governo italiano sta studiando il prossimo pacchetto di aiuti, l’ottavo dall’inizio della guerra. Nonostante a Granada Giorgia Meloni abbia ribadito il supporto italiano all’Ucraina, il Ministro della difesa Guido Crosetto ha recentemente messo in luce alcuni limiti derivanti dalla fornitura di armi a Kiev. I magazzini italiani iniziano a soffrire la carenza di scorte e il settore produttivo non sembra in grado di rimpiazzare i munizionamenti in tempi brevi. Finora l’Italia ha fornito all’Ucraina veicoli blindati, sistemi anticarro e antiaerei, mitragliatrici leggere e lanciarazzi, equipaggiamenti che spesso non sono più in dotazione all’esercito italiano. Nella lista rientrano anche i più recenti sistemi di difesa Samp-T e Aspide, tuttora fondamentali per la nostra difesa nazionale. Di conseguenza, ci si poteva aspettare che il governo italiano avrebbe prima o poi adottato un atteggiamento più cauto nel fornire aiuti all’esercito Ucraino. 

 

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Lorenzo Rossi

La Francia sta ridimensionando la sua presenza in Africa

Domenica 24 settembre il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro del personale diplomatico e delle truppe francesi dal Niger. Una scelta che appare quasi scontata dopo l’ultimo colpo di stato che ha sconvolto lo stato africano. Fino ad ora Parigi aveva stanziato circa 1.500 truppe nel Paese, impegnate in operazioni di peacekeeping e anti-terrorismo. Il governo golpista ha definito “imperialiste” le truppe francesi sul suolo nigerino, invitando il governo transalpino a ritirarsi il prima possibile. La partenza definitiva dei contingenti è prevista per la fine dell’anno, e segna l’ennesima sconfitta diplomatica francese nel Sahel, area cruciale per la sicurezza europea e africana, ormai in preda a quello che è stato chiamato “contagio autocratico”. Non suona affatto strano per una regione che ha vissuto ben otto colpi di stato in soli tre anni
 

Le operazioni francesi

Nonostante l’avvio del processo di decolonizzazione la Francia non ha mai veramente abbandonato le sue ex-colonie, mantenendo contingenti militari sul suolo Africano ed esercitando un’importante influenza politica ed economica. Le ultime importanti operazioni militari dell’Eliseo risalgono alla presidenza Hollande. Nel 2014 viene lanciata l’operazione Barkhane, una missione volta a contrastare il dilagare del Jihadismo nel Sahel. Parigi arriverà a contare più di 5.000 uomini schierati nella regione, dalla Mauritania al Ciad. Negli ultimi 3 anni tuttavia la Francia è stata costretta a ritirare gradualmente alcuni dei suoi contingenti, a partire dal Mali nel 2022 e nel Burkina Faso all’inizio del 2023. Proprio come in Niger la fine della cooperazione militare è stata il risultato di due colpi di stato avvenuti tra il 2021 e il 2022. I crescenti sentimenti antifrancesi e l’arrivo delle truppe del gruppo mercenario Wagner nei due paesi ha costretto l’Eliseo a fare un passo indietro. Nel 2022 è cessata definitivamente l’operazione Barkhane
 

Quali prospettive per Parigi?

Gli interessi francesi nel Sahel riguardano soprattutto la sfera economica. La regione è uno dei principali fornitori del Paese per quanto riguarda uranio e gas, attività che coinvolgono multinazionali come Orano e Total Energies. I mutati equilibri nel Sahel costringeranno Parigi a riadattare la sua politica estera nei confronti dei paesi africani. Il presidente Macron ha più volte dichiarato finita la stagione della Françafrique, espressione utilizzata per indicare la sfera di influenza transalpina nelle sue ex-colonie. L’Eliseo punta a collaborazioni strategiche con i paesi interessati, trattandoli come pari e non più come paesi “satellite”. La Francia non può più essere considerata la principale potenza operante nella regione, non con il crescente attivismo di Cina e Russia, rispettivamente in campo economico e militare. 
 
Da qui la necessità per Parigi di adottare una politica più pragmatica. 
 
 
A cura di 
Lorenzo Rossi