Israele, Hamas e il patetico tifo da stadio

Il tema è delicato e fin qui non si va oltre la scoperta dell'acqua calda. Ma è sempre bene sottolinearlo. Le ultime settimane hanno descritto un quadro complesso, non tanto in termini di conflitto - le soluzioni sono e resteranno poche e limitate - quanto a livello di dibattito pubblico. Perché un dibattito scadente, violento, irragionevolmente polarizzato non può che generare risposte e soluzioni talvolta scarsamente realistiche, perlopiù fondamentalmente vuote. E ciò fa del male al conflitto stesso, da sempre attanagliato da speculazioni, ideologiche e non, di ogni genere e forma.

 

La guerra richiede soluzioni

Il conflitto israelo-palestinese c'entra poco. E questo è il primo dato. A rilevare, al momento, sono due elementi: l'attacco terroristico targato Hamas e la brutale reazione di Israele. Per il primo, non può non esserci condanna, non foss'altro per il totale disinteresse nei confronti del benessere dei palestinesi. Del resto, da un'organizzazione per definizione antisemita non può che derivare tutto il male perpetrato in queste settimane. L'utilizzo della popolazione civile come scudo, le pratiche barbariche ampiamente documentate, l'attacco a uno Stato legittimo - dall'operato più che controverso - sono solo alcuni degli elementi che dovrebbero condurre chiunque si ritenga mediamente assennato a una valutazione profondamente negativa. Vi è poi Israele, le cui atrocità belliche, se dimostrate, non potranno restare impunite a livello internazionale. E in tal senso, un appello a umanità e ponderatezza appare doveroso. La questione, però, non si esaurisce qui. Le guerre, infatti, richiedono soluzioni, non faziosi e inconcludenti moralismi. Soluzioni, non favole. Il cessate il fuoco, ora come ora, è annoverabile tra quest'ultime. Israele, da sempre oggetto di attacchi esterni, non arresterà la propria reazione fin quando non riterrà castrato ogni temibile tentativo di offensiva. A fronte di ciò, appare già di per sé inopportuno concentrarsi sulle origini delle ostilità tra israeliani e palestinesi, questione ampiamente distante dalla situazione effettiva, dunque dalle priorità dei sopracitati popoli.

 

Scontri tra tifoserie

Nel bel mezzo di attacchi sanguinosi e brutalità di ogni genere, qui in Occidente ci si è, invece, concentrati a sostenere indiscriminatamente la propria fazione. La politicizzazione di un fenomeno che di politico non dovrebbe aver nulla è fenomeno certo non nuovo al Belpaese (e non solo ad esso). Da un lato si può osservare chi sostiene di stare "con i palestinesi", nonostante appaia difficile immaginare - in contrapposizione alla sua vaga collocazione - un individuo realmente retto da principi democratici e, al contempo, capace di ambire al disconoscimento dei diritti del popolo palestinese stesso, ancor peggio alla sua cancellazione. Dall'altro, vi è poi chi difende a spada tratta Israele, negando - e non rinviando a giudizio - l'inaccettabile cruenza del Governo di Netanyahu, oltre che dell'esercito. A mancare per buona parte del dibattito - come spesso accade quando si configura un approccio populista - è il giusto focus: le origini delle ostilità e il documentato sopruso israeliano precedente agli attacchi, al momento, non hanno alcuna rilevanza nel giudizio di merito relativo all'invasione di uno stato legittimo da parte di un organizzazione terroristica.

 

Conoscere il contesto

Risulterebbe fondamentalmente insignificante un'analisi dell'integrità democratica di Israele senza aver appreso precedentemente il contesto entro cui questa sorge. Israele è circondato da Stati che per decenni hanno strumentalizzato il conflitto palestinese con l'obiettivo di abbattere l'ultimo caposaldo dell'Occidente nel Medio Oriente. Basti vedere i regimi che entro tali stati vigono. Dunque, è possibile trarre come prima conclusione che il grado di civiltà di un Paese deve essere messo in relazione al contesto in cui esso si trova. In verità, si spera che questo fosse noto ai più già prima dell'invasione di Hamas. A ciò è bene aggiungere il fatto che Netanyahu è stato eletto democraticamente e che in "Parlamento" sono presenti rappresentanze "palestinesi". Il Governo vigente, infatti, è il prodotto di un processo democratico, sebbene il suo operato abbia oltrepassato i confini della democrazia così come intesa in Occidente (e non solo). In passato, altre tornate elettorali avevano determinato notevoli mediazioni tra i due popoli, a dimostrazione della potenziale reversibilità dei suddetti soprusi attraverso meccanismi meno sconsiderati dei piani di Hamas. Si arriva quindi al nocciolo della questione. In quale scenario realistico è bene confidare?

 

Come prima cosa, per la stabilizzazione delle tensioni, è d'indubbia urgenza la neutralizzazione di Hamas. Solo in un secondo momento sarà possibile ambire a un dietrofront del popolo israeliano: quest'ultimo coglierà forse in Netanyahu, prima ritenuto scudo dalle minacce orientali, l'unica, grande minaccia. E comprenderà, si spera, l'importanza di dialogo e rispetto prima, del riconoscimento dei palestinesi poi, onde evitare il confronto con chi (Hamas, ndr) il confronto non sa proprio cosa sia. Con tale prospettiva non s'intende in alcun modo banalizzare una situazione d'immensa complessità, bensì fornire una verosimile e logica evoluzione dei fatti che potrebbe condurre alla fine di queste atrocità. È nei fatti impossibile delineare scientificamente le fasi di un simile processo, ma resta pur sempre un tentativo di maggiore costruttività in un oceano di incresciose faziosità.

 

Due popoli, due Stati. E troppe speculazioni.

 

A cura di

Valerio Antoniotti

Travaglio ci ricasca, Renzi sorride: e adesso?

Travaglio ci ricasca. "Il tempo è galantuomo. Basta saper aspettare, come io ho sempre detto, e arrivano le buone notizie. Questa mattina Marco Travaglio è stato condannato a pagare più di 80.000 euro per il risarcimento danni nei miei confronti". Apre così qualche giorno fa Matteo Renzi, al termine di un processo non inedito per cognomi coinvolti. Il direttore de il Fatto Quotidiano, infatti, aveva già diffamato due volte il padre Tiziano e la rivalità che intercorre tra i due è ormai di portata decennale, senza accenni di tregua. Stando a quanto riportato da Il Riformista (di cui Renzi è direttore, ndr), gli articoli incriminati sarebbero ben 51, la maggior parte di questi firmata dal montanelliano anticomunista. Come ben si sa, però, il danneggiato Renzi non è certo nuovo a dinamiche di questo genere, per altro non sempre così redditizie. 

 

Querela dopo querela

L'ex premier è da tempo al centro di polemiche per un presunto ricorso eccessivo allo strumento della querela. L'ultimo ammonimento è arrivato qualche mese fa proprio dal giudice del processo con Rcs, che lo ha invitato senza mezzi termini a non "usare il tribunale civile come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento". Ad onor di cronaca, è bene aggiungere i 16mila euro di spese processuali che il leader d'Italia Viva ha dovuto corrispondere al quotidiano ingiustamente accusato; degna di menzione è anche la somma di 200mila euro da lui inizialmente richiesta per il suddetto processo. Insomma, un vero e proprio buco nell'acqua. Non il primo, forse nemmeno l'ultimo. Di certo, resta una tendenza fondamentalmente spasmodica nell'affidarsi alle autorità giudiziarie anche quando - come da quest'ultime confermato - non vi è principio di fondatezza. Ma chiudere qui la questione sarebbe decisamente inopportuno: Matteo Renzi nel corso della sua carriera politica ha ricevuto attacchi d'ogni genere, il più delle volte irrispettosi, aggressivi, verbalmente violenti. E per alcuni rappresenta il fautore della lotta a un fenomeno, quello del crescente scadimento giornalistico, oggettivamente sempre più dilagante. 

 

Il senso del limite

Quanto condividessero all'effettivo Renzi e Berlusconi non ci è dato saperlo, ma appare innegabile una progressiva vicinanza tra i due. Il punto d'incontro più significativo è però rappresentato dal nemico in comune, il pregiudicato Marco Travaglio. E che non si rinvenga in quest'ultimo attributo fare provocatorio: Travaglio ha ricevuto più di una condanna definitiva per diffamazione e i suoi, più che incidenti di percorso, sembrano ormai solo ed esclusivamente goffi tentativi di scredito. È come se avesse la memoria corta e periodicamente, con la precisione di un orologio svizzero, dimenticasse le conseguenze di narrazioni scarsamente fedeli alla realtà. O quantomeno non sufficientemente supportate dai fatti. A dirlo non è l'autore di questo editoriale, ma l'ultima sentenza di condanna ricevuta dal giornalista: "Può ritenersi provata la perpetrazione di una campagna diffamatoria contro Matteo Renzi da parte de Il Fatto Quotidiano, poiché la grande mole di articoli e prime pagine in cui il suo nome viene accostato ad indagini, inchieste e a fatti illeciti relativi alle cinque vicende giudiziarie sopra menzionate, considerati complessivamente, esprimono una preordinazione complessiva a denigrare la persona di Matteo Renzi e non già a criticare la sua attività di politico". Il coinvolgimento del padre di Renzi, questione già dibattuta in altri processi, rivela ulteriormente l'animo scarsamente nobile che ha mosso negli ultimi anni il suo agire sul tema. Un giornalista che dice troppe verità (come molti lo definiscono), ma che, nell'esposizione di queste, dovrebbe ricercare un limite smarrito da tempo. Un limite anzitutto di forma, poi contenutistico: perché senza limiti il giornalismo fa ribrezzo, agevola lo scadimento del dibattito e non è tanto diverso da molte delle pratiche aberranti che costellano lo scenario politico. La speranza, forse ingenua, è che questa sentenza sproni tale ricerca. 

 

E adesso?

Come detto, non è la prima volta e, probabilmente, non sarà l'ultima. Per entrambi. Perché se da un lato vi è chi continua ad alimentare un malsano rapporto con la stampa ricorrendo - più di una volta senza ragionevole fondatezza - agli strumenti giudiziari, dall'altro vi è una tendenza, sempre più diffusa ed esplicita, a dire ciò che si vuole, dove si vuole, come si vuole. E ciò non può trovare alcuna giustificazione, indipendentemente dall'oggetto dell'invettiva. La sensazione è che nessuna delle parti appare intenzionata ad attuare un cambio di strategia: l'unica cosa certa è che, in tal caso, ancora una volta, a risentirne sarà il dibattito politico nazionale. Sarà l'ennesima e illegittima deroga a rispetto e costruttività, elementi che dovrebbero costantemente permeare il poc'anzi citato dibattito e che invece, anche grazie a simili comportamenti, trovano totale opposizione.

La cosa, tra l'altro, non sembra recare particolare fastidio.

 

A cura di

Valerio Antoniotti

 

 

 

 

Il mistero di Open to Meraviglia

Un'operazione da 9 milioni di euro e tanti, tantissimi punti interrogativi. Questa è Open to Meraviglia, la campagna del Ministero del Turismo volta a incrementare l'afflusso turistico nel Belpaese e da mesi al centro di corpose polemiche. Una strategia formalmente in linea con quanto già attuato in altri Paesi europei, ma non ben accolta da una parte considerevole di italiani, fortemente dubbiosi circa l'effettiva efficacia. È bene, però, partire con ordine.

 

Alla scoperta di Open to Meraviglia

Open to Meraviglia è una virtual influencer, nonché una riproduzione artificiale della Venere di Botticelli. Come dichiarato dalla stessa ministra Santanchè, la campagna ha l'obiettivo di "vendere la nostra Nazione e le nostre eccellenze, in un modo inedito, mai fatto in Italia prima d’ora: un video che sarà su tutte le ferrovie, le televisioni e gli aeroporti, con la consapevolezza che la pubblicità è l’anima del commercio e noi dobbiamo saper vendere l’Italia". Una soluzione non certo sconosciuta quella del virtual influencer, una figura intorno alla quale, solo nel 2018, sono stati investiti oltre 5 miliardi di euro nel mercato globale. E si stima che ad oggi la cifra sia quasi triplicata e, soprattutto, destinata a crescite esponenziali. Se da un lato, quindi, la strada intrapresa sembra interessare un fenomeno in piena espansione ed efficace per la crescita di multinazionali e non che da anni vi fanno ricorso, dall'altro le modalità di attuazione adottate dal Ministero hanno suscitato scontenti e malumori. A un pomposo ingresso nel mondo social è seguito un silenzio che si è protratto per mesi: solo nelle ultime settimane è stato interrotto da nuovi post, ma il destino del progetto appare tutt'altro che scontato. 

 

Una strana coincidenza

Il silenzio è stato interrotto, è vero. A destare preoccupazione, però, sono le tempistiche con cui questo è avvenuto. Repubblica il 30 agosto parla di un'indagine della Corte dei Conti per danno erariale; il giorno stesso, dopo circa due mesi di assenza, la Venere batte un colpo. Coincidenza o altro? Difficile da stabilire. Intanto, da quel momento, il profilo ha ripreso vita con una discreta costanza e ciò non può essere in alcun modo ignorato. Il dilettantismo addossato da stampa nazionale ed estera, la scarsissima trasparenza lamentata da numerosi cittadini e un'apparente instabilità organizzativa intorno alla campagna restano dei punti bui difficili da confermare o smentire. È, però, bene ricordare che Open to Meraviglia non prevede esclusivamente il ricorso ai profili social, ma è un'operazione ad ampio respiro che cerca nell'iconicità della Venere una riconoscibilità del Paese nel resto del mondo. E ciò non può esser ridotto a semplici pubblicazioni sulle varie piattaforme.

 

Un futuro incerto

Quel che è certo è che - indipendentemente dagli effetti che tale investimento sortirà negli anni a venire - manovre di questo genere non devono essere sottoposte a giudizi affrettati e scarsamente oggettivi. Si tratta di un percorso nuovo per il nostro Paese, ma non certamente inedito a livello mondiale: come detto, sono moltissimi i soggetti che ne hanno tratto considerevoli vantaggi e ridurre Open to Meraviglia a mero fallimento non è necessariamente sbagliato, ma sicuramente affrettato. Campagne di questo tipo portano a risultati di difficile quantificazione - specialmente nell'immediato - e credere di poterne valutare gli sviluppi in un momento di evidente transizione è l'unico, vero esempio di dilettantismo. Con tale editoriale non si intende in alcun modo difendere una strategia ancora incerta e in fase di delineazione, ma si vuole arrestare esplicitamente un processo di condanna che, almeno al momento, non sembra aver ragione d'esistere. La futura evoluzione consentirà una valutazione complessiva, che non si esclude possa portare alla materializzazione di una condanna per danno erariale. Ma per questo esistono giudici e tribunali.

 

A cura di

Valerio Antoniotti

 

 

 

Giorgio Napolitano, l'uomo al servizio delle istituzioni

Ad andar via non è certo un uomo qualsiasi, eppure, dinanzi alla morte, c'è chi dice siamo tutti uguali. O forse no. E con questo che non si rinvenga la volontà di addentrarsi nell'indubbia intimità che caratterizza gli istanti che ne precedono la materializzazione. A dover esser posto in risalto è il contorno, che poi contorno non è. La devozione, il rispetto, la gratitudine; e poi l'odio, il disprezzo, l'invidia. Sicuramente presenti non in egual misura, ma comunque presenti. Tale editoriale non intende esprimere un giudizio su Napolitano politico, bensì rendere onore a un uomo delle istituzioni, che, indipendentemente dalle convinzioni che lo hanno mosso durante il suo percorso, ha dedicato l'intera esistenza al servizio del proprio Paese. Onde evitare sconfinate rassegne biografiche, è bene concentrarsi su ciò che ha effettivamente rappresentato per la Nazione e su quanto ci si dovrebbe sempre aspettare da un Presidente della Repubblica. 

La sacralità istituzionale 

È stato il primo PdR nella storia italiana a ricevere e accettare un secondo mandato. E questo, probabilmente, è il primo aspetto meritevole di approfondimento. Infatti, si considera spesso irrilevante l'elemento anagrafico alla base dell'impegno politico, quasi dimenticando l'essenza umana celata dietro il personaggio. Come se stanchezza, fatica e difficoltà di vario genere debbano essere eternamente estranee a chi si occupa della res publica. Eppure, il 20 aprile 2013, Napolitano, che di anni ne aveva 88, non si sottrasse - come avrebbe legittimamente e comprensibilmente potuto fare - alla richiesta postagli in un momento di totale instabilità per l'Italia intera. Dopo un incarico durato 7 anni, ebbe la forza, il coraggio e la determinazione di mantenere un ruolo estremamente complesso, per natura e specifica condizione. Il pieno rispetto di tale carica fu ulteriormente dimostrato in occasione delle dimissioni del 2015, in linea con l'assoluta consapevolezza che da sempre lo ha pervaso. Perché, indipendentemente dalle controversie che inevitabilmente accompagnano qualunque percorso politico di simile portata, Giorgio Napolitano si è sempre ricoperto di decoro, ponderatezza, devozione alla causa. Ha rappresentato, in un periodo fortemente buio per il Belpaese, un riferimento, una garanzia, un faro cui affidarsi dinanzi alle più imprevedibili intemperie. Ciò è avvenuto solo ed esclusivamente per la sacralità istituzionale da lui magistralmente mantenuta, protetta, quotidianamente riprodotta. In un mondo con sempre meno certezze e con un forte revisionismo costituzionale che attenta, in primis, alle istituzioni stesse, è proprio l'integrità di chi ricopre un ruolo cotanto apicale a contribuire maggiormente al mantenimento di equilibrio e solidità. Quest'ultima osservazione, come agevolmente intuibile e già affermato, esula da qualunque considerazione prettamente politica.

Lo scadente dibattito odierno

Il dibattito politico odierno ha due caratteristiche principali: adora turpiloquio e nefandezze varie; rende questione politica tutto ciò che non per forza dovrebbe essere in tale questione immesso. Con l'auspicio che non si rinvenga fare nichilistico entro le precedenti considerazioni, è opportuno approfondire il discorso. Sul primo punto non c'è di che sorprendersi e sulle ragioni alla base, come ripetutamente sostenuto, si potrebbe discutere anni senza giungere a conclusioni certe o quantomeno univoche. Per quanto concerne, invece, la politicizzazione di questioni non necessariamente politiche, si fa riferimento, nel caso specifico, a controverse decisioni e mancati (e per alcuni dovuti) rinvii alle Camere. Ma non solo. Nel corso della carriera politica, l'ex Presidente ha dovuto fronteggiare le critiche più disparate: da quella di "comunista inconcludente" a quella di "cinico portatore di bramosia di potere". La realtà è che coraggio e solida coscienza politica non sempre corrispondono a corali riconoscimenti. Quel che è certo è che non dovrebbe mai trovar posto un degradante turpiloquio e un dibattito per natura banalizzante quando come oggetto è posto l'operato di uomini che hanno destinato alle istituzioni un sano, valido e duraturo impegno. Ma per far sì che ciò avvenga, a dar l'esempio dovrebbe essere la classe dirigente stessa, spesso troppo impegnata a escogitare strategie di scarso valore etico-morale e pronta a sacrificare la sopracitata sacralità istituzionale a vantaggio delle proprie esigenze elettorali.

Un grande uomo lascia un Paese non sufficientemente rispettoso del suo nobile operato. 

 

A cura di

Valerio Antoniotti

 

 

 

Siamo il futuro, vogliamo il presente: ciò che resta dell'evento targato Politica

Venerdì 15 settembre, a partire dalle ore 17, è andato in scena presso il Talent Garden di Roma l'evento dedicato ai giovani e targato Politica. Le collaborazioni intrattenute con L'Espresso e La Miniera di Ivan Grieco - rispettivamente media partner e digital media partner - hanno ulteriormente incrementato qualità e risultato dell'evento stesso. Una partecipazione degna di nota ha reso onore agli ospiti presenti: non solo giovani impegnati politicamente, ma anche personaggi illustri che da anni, se non decenni, operano nel Paese ricoprendo cariche di punta. Un evento all'insegna del cambiamento, su cui la redazione ha inteso soffermarsi riempiendo le pagine dello speciale cartaceo con una selezione di 60 under 30 che stanno cambiando il Paese. Tale lista, che non deve in alcun modo atteggiarsi a classifica, vuole premiare l'impegno politico dei giovani indipendentemente dai colori che lo muovono e il coinvolgimento di numerosi esponenti di spicco ha l'ambizione di rinsaldare questa tendenza. 

Gli interventi introduttivi

Nel tentativo di non incorrere in tediose rassegne, è bene ugualmente ripercorrere i momenti salienti. Ad aprire le danze è Federico Lobuono, presidente de La Giovane Roma, nonché fondatore del magazine: "Ci sono moltissime battaglie che si potrebbero vincere insieme con un pò di buon senso comune. Il nostro auspicio è che questa rivista possa essere una motivazione e l'occasione per guardarci intorno, tutti. Per far dialogare giovani con idee diverse e creare finalmente un grande dibattito che possa unire trasversalmente la nostra generazione". Dopo un breve saluto del vicepresidente di Talent Garden Alberto Luna, arriva il momento dei saluti istituzionali di Roma Capitale, rappresentata da Alessandro Onorato, assessore ai Grandi Eventi, Moda, Sport e Turismo: "Abbiamo un problema molto serio: il nostro non è un Paese per giovani, [...] non si discute mai su chi pagherà queste riforme. Noi vi sosterremo in questo". A seguire Alessandro Mauro Rossi, direttore de L'Espresso, che, con l'ausilio di alcuni dati, cerca di fotografare la complessa situazione attuale: "Noi siamo convinti che questo (l'astensionismo, ndr) sia un sintomo, ma che la malattia non sia ancora degenerativa. Crediamo ancora nella politica, i partiti sono la base della nostra democrazia". 

Gli esponenti politici

Nel rispetto delle diversità, Politica ha scelto di coinvolgere sei esponenti appartenenti a differenti aree politiche. A cominciare è l'On. Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato e storico rappresentante di Forza Italia: "La politica è fatica, ci vuole una cultura di base. La cultura di base che si apprende a scuola è insostituibile, non c'è il manuale del perfetto politico, senza cultura di base non si va da nessuna parte. La politica è fisicità, servono contatto e incontro". Una critica, dunque, allo sconsiderato e costante ricorso agli strumenti multimediali, non certo un nemico, ma, a suo avviso, incapaci di sostituire globalmente la reale essenza della politica. È poi il momento dell'On. Paolo Trancassini (FDI), che afferma: "La politica non è negativa o bella per definizione, ma è la risposta ai problemi di una determinata comunità. Coltivare il confronto, mantenendo l'umiltà". Un intervento volto alla plasmazione di una classe dirigente valida, consapevole, preparata. Subito dopo, a salire sul palco, in rappresentanza di Azione, è l'On. Valentina Grippo, che ricorda l'importanza di studio e lavoro, primo strumento di non ricattabilità politica: "È importante studiare e arrivare preparati, perché la politica è una cosa complessa". E ancora, l'invito a prendersi ciò che si ritiene di meritare, senza velleità, opportunismi e manie di protagonismo. Segue l'On. Alessandra Maiorino, senatrice del M5S, che con l'Albatros di Baudelaire cerca di descrivere il trattamento oggi riservato ai giovani: "Credo che dobbiamo lasciare che i giovani insegnino un nuovo modo di stare al mondo, che non siano costretti a rinunciare alle proprie ali" conclude. "Non è possibile una politica senza partiti" così ha inizio l'intervento dell'On. Claudio Mancini (PD), che prosegue: "Il compito della nuova generazione è di pensare una nuova forma di partecipazione, esprimendo un noi". A chiudere il cerchio è l'On. Simonetta Matone, deputata leghista. Dopo una breve introduzione, un appello ai giovani: "Sono veramente troppo pochi i giovani che si buttano nella mischia. I giovani sono il futuro, hanno un approccio diverso, entusiastico, ma al contempo sono un gruppo assolutamente elitario". Questa breve sintesi non intende sottrarre importanza ai successivi interventi, agevolmente rinvenibili sul canale YouTube del sopracitato Ivan Grieco e meritevoli di assoluta considerazione.

Quel che resta

La redazione di Politica è pienamente consapevole della portata di un simile evento e, come sostenuto da Lobuono, l'ambizione è quella di contribuire alla formazione di un percorso che sia realmente capace di stabilire buon senso e compattezza all'interno del dibattito politico nazionale: una missione ardua, d'indubbia complessità, da cui, però, non si può e non si deve fuggire. Ed ecco allora il grido di riscatto, di cambiamento, d'innovazione. Un grido che, per meritare di essere ascoltato, non può certo limitarsi a mire vendicative e scarsamente produttive per modalità e contenuti: è necessaria un'opposizione (al fenomeno, sia ben chiaro) consapevole, rispettosa, competente. Il vigore giovanile non deve certo scadere in una spasmodica ricerca di successo, riconoscimenti, cariche, diritti. A regnare sovrana deve essere la ponderatezza, dalle modalità comunicative alle strade da intraprendere, politiche e non che siano. È necessario ricostituire quel sentimento di unicità che dovrebbe pervadere e contornare la res publica, per sua stessa natura imparagonabile a qualunque altro ambito o settore. La superficialità dei giorni odierni e la violenza, fisica e verbale, che v'inerisce necessitano urgenti politiche di sensibilizzazione, in grado, nel corso dei decenni, d'infondere una solida e inattaccabile coscienza civile, ancor prima che politica. L'ormai ben accetto turpiloquio e il generale scadimento del dibattito richiedono un'inversione di rotta totale, un intervento organico e compatto che consenta una corretta esplicazione dei differenti pensieri della società. L'interruzione di un'opportuna diffusione di questi è il primo passo verso la staticizzazione del più importante motore di qualsiasi democrazia: il confronto politico. Ed è a ciò che un progressivo e generale impoverimento rischia di condurre in maniera irreversibile. 

La realtà è che siamo in un sistema che, a queste condizioni, è destinato al collasso. Come affermato da Grieco, introdotto come gli altri ospiti dal moderatore Paolo Federico (vicepresidente de La Giovane Roma), c'è una dura sfida da combattere e per farlo, questa volta, non basteranno politicantismi e raggiri di vario genere: sono palliativi che mascherano un mostro sempre più grande, il cui contenimento è sostanzialmente insostenibile nel lungo termine. Servono coraggio e integrità morale, il resto sono chiacchiere vuote e attentatrici. 

Siamo il futuro, vogliamo il presente.

 

A cura di

Valerio Antoniotti