Travaglio ci ricasca, Renzi sorride: e adesso?

Travaglio ci ricasca, Renzi sorride: e adesso?

Travaglio ci ricasca. "Il tempo è galantuomo. Basta saper aspettare, come io ho sempre detto, e arrivano le buone notizie. Questa mattina Marco Travaglio è stato condannato a pagare più di 80.000 euro per il risarcimento danni nei miei confronti". Apre così qualche giorno fa Matteo Renzi, al termine di un processo non inedito per cognomi coinvolti. Il direttore de il Fatto Quotidiano, infatti, aveva già diffamato due volte il padre Tiziano e la rivalità che intercorre tra i due è ormai di portata decennale, senza accenni di tregua. Stando a quanto riportato da Il Riformista (di cui Renzi è direttore, ndr), gli articoli incriminati sarebbero ben 51, la maggior parte di questi firmata dal montanelliano anticomunista. Come ben si sa, però, il danneggiato Renzi non è certo nuovo a dinamiche di questo genere, per altro non sempre così redditizie. 

 

Querela dopo querela

L'ex premier è da tempo al centro di polemiche per un presunto ricorso eccessivo allo strumento della querela. L'ultimo ammonimento è arrivato qualche mese fa proprio dal giudice del processo con Rcs, che lo ha invitato senza mezzi termini a non "usare il tribunale civile come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento". Ad onor di cronaca, è bene aggiungere i 16mila euro di spese processuali che il leader d'Italia Viva ha dovuto corrispondere al quotidiano ingiustamente accusato; degna di menzione è anche la somma di 200mila euro da lui inizialmente richiesta per il suddetto processo. Insomma, un vero e proprio buco nell'acqua. Non il primo, forse nemmeno l'ultimo. Di certo, resta una tendenza fondamentalmente spasmodica nell'affidarsi alle autorità giudiziarie anche quando - come da quest'ultime confermato - non vi è principio di fondatezza. Ma chiudere qui la questione sarebbe decisamente inopportuno: Matteo Renzi nel corso della sua carriera politica ha ricevuto attacchi d'ogni genere, il più delle volte irrispettosi, aggressivi, verbalmente violenti. E per alcuni rappresenta il fautore della lotta a un fenomeno, quello del crescente scadimento giornalistico, oggettivamente sempre più dilagante. 

 

Il senso del limite

Quanto condividessero all'effettivo Renzi e Berlusconi non ci è dato saperlo, ma appare innegabile una progressiva vicinanza tra i due. Il punto d'incontro più significativo è però rappresentato dal nemico in comune, il pregiudicato Marco Travaglio. E che non si rinvenga in quest'ultimo attributo fare provocatorio: Travaglio ha ricevuto più di una condanna definitiva per diffamazione e i suoi, più che incidenti di percorso, sembrano ormai solo ed esclusivamente goffi tentativi di scredito. È come se avesse la memoria corta e periodicamente, con la precisione di un orologio svizzero, dimenticasse le conseguenze di narrazioni scarsamente fedeli alla realtà. O quantomeno non sufficientemente supportate dai fatti. A dirlo non è l'autore di questo editoriale, ma l'ultima sentenza di condanna ricevuta dal giornalista: "Può ritenersi provata la perpetrazione di una campagna diffamatoria contro Matteo Renzi da parte de Il Fatto Quotidiano, poiché la grande mole di articoli e prime pagine in cui il suo nome viene accostato ad indagini, inchieste e a fatti illeciti relativi alle cinque vicende giudiziarie sopra menzionate, considerati complessivamente, esprimono una preordinazione complessiva a denigrare la persona di Matteo Renzi e non già a criticare la sua attività di politico". Il coinvolgimento del padre di Renzi, questione già dibattuta in altri processi, rivela ulteriormente l'animo scarsamente nobile che ha mosso negli ultimi anni il suo agire sul tema. Un giornalista che dice troppe verità (come molti lo definiscono), ma che, nell'esposizione di queste, dovrebbe ricercare un limite smarrito da tempo. Un limite anzitutto di forma, poi contenutistico: perché senza limiti il giornalismo fa ribrezzo, agevola lo scadimento del dibattito e non è tanto diverso da molte delle pratiche aberranti che costellano lo scenario politico. La speranza, forse ingenua, è che questa sentenza sproni tale ricerca. 

 

E adesso?

Come detto, non è la prima volta e, probabilmente, non sarà l'ultima. Per entrambi. Perché se da un lato vi è chi continua ad alimentare un malsano rapporto con la stampa ricorrendo - più di una volta senza ragionevole fondatezza - agli strumenti giudiziari, dall'altro vi è una tendenza, sempre più diffusa ed esplicita, a dire ciò che si vuole, dove si vuole, come si vuole. E ciò non può trovare alcuna giustificazione, indipendentemente dall'oggetto dell'invettiva. La sensazione è che nessuna delle parti appare intenzionata ad attuare un cambio di strategia: l'unica cosa certa è che, in tal caso, ancora una volta, a risentirne sarà il dibattito politico nazionale. Sarà l'ennesima e illegittima deroga a rispetto e costruttività, elementi che dovrebbero costantemente permeare il poc'anzi citato dibattito e che invece, anche grazie a simili comportamenti, trovano totale opposizione.

La cosa, tra l'altro, non sembra recare particolare fastidio.

 

A cura di

Valerio Antoniotti